La mia carriera di traduttore è iniziata e penso terminata con la versione italiana del libro di Douglas Hofstadter, Fluid Concepts and Creative Analogies (Concetti fluidi e analogie creative, Adelphi). Il racconto di come io sia finito in questa avventura è più o meno spiegato nella postfazione all'edizione italiana: qui riprendo la storia in maniera un po' più ampia

Doug e io

Conobbi per la prima volta hoftadter nel 1986, quando tenne una conferenza a Torino sugli "ambigrammi", le parole scritte in modo tale da potersi leggere in due modi distinti. Dopo il discorso, gli raccontai dell'"ambifaccia" Garibaldi/Stalin preparata nel 1948 contro il Fronte Popolare: lui si dichiarò interessato, e mi chiese di spedirgliene una copia.

Alcuni anni dopo, quando venne a Trento per un anno sabbatico, gli riscrissi: con mio sommo stupore, si ricordava di me, e ci vedemmo anche un paio di volte, chiacchierando - in italiano, lui lo parla perfettamente - di scienze cognitivi e giochi con le parole. Rimanemmo poi in contatto, anche se non stretto: mi spedì anche alcuni suoi preprint.

Il libro

Un giorno, mi vedo arrivare un suo email dove mi diceva che Adelphi aveva tradotto FCCA - che io avevo letto nell'edizione inglese - e gli aveva mandato le prime bozze, che però non lo soddisfacevano molto. Mi chiedeva se avevo voglia di fargli un favore e darci un'occhiata anch'io, e in caso positivo di contattare Filippo Macaluso all'Adelphi. Io acconsentii - volete mettere l'orgoglio di una simile considerazione? - mi misi d'accordo con Adelphi e mi vidi arrivare via corriere dischetti word e malloppo della traduzione.

Leggendola, mi accorsi che era generalmente corretta, ma era lontana anni luce dalla prosa quasi colloquiale di Hofstadter, e assomigliava più a un manuale universitario. Inoltre, molti dei giochi di parole interni non erano stati tradotti, e scoprii anche che la versione italiana - molto bella, intendiamoci! - di uno di essi non era stata voluta da Doug. Mi sono fatto una figuraccia complimentandomi con lui per il suggerimento dato per la traduzione...

Cominciò così un lavoro certosino mio e di Macaluso, lui a controllare più lo stile, io a cercare di rendere lo spirito oltre alla lettera del testo. Spedii a Doug una enorme mole di dubbi con relativa traduzione, ma alla fine ci organizzammo durante un suo soggiorno in Italia e ci limitammo a un gruppo di punti chiave, oltre a qualche gioco che lui apprezzava particolarmente e che io a volte mi ero lasciato sfuggire. Il risultato è stato a mio parere positivo... il libro è perlomeno stato pubblicato!

Come si traduce

Tradurre in generale è un lavoraccio, e non è un caso che i sistemi automatici di traduzione siano nel migliore dei casi divertenti. Occorre infatti ottenere una versione che porti lo stesso significato dell'originale, e sia allo stesso tempo scorrevole. Non parliamo poi della poesia: forse solo un poeta può tradurre un altro poeta, e ci si può chiedere se abbiamo una traduzione o una nuova poesia.

Con Hofstadter i problemi sono di tipo diverso: occorre mantenere il rigore del testo - è comunque un libro scientifico! - unito alla leggerezza dello stile: allo stesso tempo, poi, bisogna mantenere per quanto possibile i giochi di parole, senza che l'ignaro lettore veda che sono stati trapiantati. Vi assicuro che ci sono stati dei passi su cui sono ritornato per giorni e giorni, prima di trovare un risultato buono, o almeno quasi soddisfacente.

In pratica, dovevo capire quanto potevo tendere il tessuto della corrispondenza inglese-italiano per trovare una battuta italiana equivalente a quella inglese. Notate la parola magica: non siamo più nel campo "uguale", che si applica alla lettera, ma a quello "equivalente", che si applica allo spirito.

In certi casi, ci si deve arrendere e decidere che bisogna lasciare il testo inglese, o come nota a pié di pagina o con spiegazione nel testo. Altre volte si è più fortunati: il "Platobet", alfabeto platonico il cui nome aveva però la proprietà di essere un anagramma degli altri esempi del capitolo, è potuto diventare tranquillamente un "Platbeto".

Sempre in questo capitolo c'è uno dei miei successi. Nell'edizione inglese, si parlava infatti di un certo "Belpatto", di iniziali G.E., che era citato in bibliografia con un suo "articolo" sulla "ipertraduzione", apparso nella Rivista inesistente di filoscioccosofia (sic), con paginazione all'indietro. Ora, qual è la versione italiana di una voce italiana nel testo inglese? Io mi sono deciso per un improbabile tedesco: Blattöpe. L'umlaut è una licenza poetica nel doveroso anagramma, e le iniziali sono rimaste G.E. per la "running gag" relativa a GEB. L'idea di un tedesco mi è venuta in mente per due motivi: se avessi fatto un'operazione di simmetria e avessi usato l'inglese, uno si sarebbe potuto chiedere come mai non c'era una traduzione: inoltre "traduzione" in tedesco si dice "Übersetzung", e non mi sono lasciato sfuggire lo pseudotedesco "Überübersetzung", che a mio parere ha una sua intrinseca bellezza - o bruttezza, fate voi.

Insomma...

Non potrei certo vivere facendo il traduttore: sono troppo lento, e la mia conoscenza dell'inglese, per quanto ampia, è comunque settoriale. Però ci sono certi libri che sentirei come una sfida: e visto che, come mi hanno detto, io sono fortemente competitivo, chissà...

Nuova Prosa

Per la serie "gli assassini ritornano sul luogo del delitto", ho fatto un'altra traduzione di un testo di Hofstadter. In questo caso si tratta di un articolo presentato a una conferenza internazionale su Calvino, tenutasi in Danimarca l'anno scorso.
Via amici (Belpoliti) di amici (Bartezzaghi) mi è stato chiesto se avevo voglia di tradurre l'intervento: visto che non era troppo lungo ho pensato che poteva essere una cosa simpatica e mi ci sono messo di buzzo buono.

Devo dire che la traduzione dei microracconti è stata divertente, considerando che avevo il doppio vincolo di fare una traduzione corretta e allo stesso tempo mantenere il numero di caratteri usati nell'originale - e l'inglese è più conciso dell'italiano! Non ce l'ho fatta solo nell'ultimo esempio, dove "Sorry, Tinkerbelle." è stato allungato di un carattere in "Scusa, Campanellino."
In altri punti sono dovuto ricorrere invece alle traduzioni letterali a piè di pagina: d'altra parte che senso ha tradurre un sonetto monovocalico sull'Inferno di Dante, quando all'interno dell'articolo c'è un altro sonetto monovocalico di Varaldo già in italiano? Ma la cosa più divertente è stato tradurre il brano in cui Hofstadter spiega che intende scrivere una prefazione alla sua traduzione di La Chamade di Françoise Sagan, perché non voleva rimanere in disparte come fa un traduttore... e come ho cercato di fare io!

Ad ogni modo, il numero 42 di Nuova Prosa contiene la mia traduzione. Wow.

11 aprile 2005