Guarda che
luna è stato uno degli ultimi successi di Fred Buscaglione: entrò infatti
nelle classifiche nella primavera del 1959, un anno prima dell'incidente in cui
il cantante perse prematuramente la vita. Volare era stata pubblicata l'anno precedente, e infatti nell'esecuzione si
sentono almeno in parte gli influssi del "nuovo stile italiano", anche se
musicalmente i voli pindarici non sono in realtà molti. Interessante notare come
il brano non sia della premiata ditta Buscaglione-Chiosso, ma del maestro Walter
Malgoni, che in quel periodo compose una serie di hit; ecco forse perché lo
stile è un po' diverso da quello che ci si aspetterebbe dal buon Fred.
Il brano è in mi minore, senza alcuna modulazione; ho preferito indicare come tempo 12/8 e non 4/4 perché sento molto forte il ritmo terzinato, ma la scelta è indubbiamente discutibile.
| Mim | Si9 | Mim Re | Sol Re7 | Sol Si7 | Mim: i V i VII III VII III V Sol: V I V I III ?
Se l'introduzione non vi sembra proprio sconosciuta, avete perfettamente ragione: ricorda infatti l'inizio della Sonata "Chiaro di Luna" di Beethoven (per i puristi: op. 27, n. 2), anche se non si può certo parlare di plagio quanto di citazione: un po' come se Fred guardasse la luna, gli venisse in mente il buon vecchio Ludovico van, e poi partisse con quello che a lui viene in mente con la luna. Composta da cinque battute, l'introduzione inizia con un arpeggio di pianoforte che stabilisce la tonalità, salvo sembrare passare subito alla relativa maggiore, con una successione Re-Sol-Re-Sol che parrebbe cambiare tutte le carte in tavola; ma è proprio qua che si passa dall'arpeggio agli accordi ribattuti che rimettono in chiaro le cose con una perfetta cadenza sull'accordo di settima della dominante.
| Mim | Si7 | Mi7 | Lam | Si7 | Mim | Fa#7 | Si7 | Mim: i V I iv V i V-di-V V
Il brano non ha un vero e proprio ritornello, ma è costituito da due
strofe tra di loro simili, di cui la prima viene anche riciclata come intermezzo
strumentale. Entrambe le strofe sono composte da otto battute: le prime quattro
sono uguali nelle due versioni, mentre le seconde variano.
Ascoltando il brano, balza subito all'orecchio l'uso continuato
dell'appoggiatura nella melodia. Nella prima parte gli accordi variano
sull'appoggiatura do-si ("guarda che LU-na,
guarda che MA-re, io questa
NOT-te senza TE
do-vrò...") mentre nella seconda parte si ha una progressione in discesa
che parte dall'appoggiatura si-la per scendere, attraverso quella la-sol, alla
fine con un sol-fa#. Il basso inizia a scendere cromaticamente, con la
successione mi-re#-re che una volta arrangiata - notate il passaggio alla
relativa maggiore - invita ad arrivare sul quarto grado; nella parte finale
abbiamo una cadenza molto forte, con la doppia dominante che risolve sulla
dominante.
| Mim | Si7 | Mi7 | Lam | Lam6 Fa7 | Mim | Lam7 Si7 | Mim | Mim: i V I iv bII i iv V i
La seconda versione della strofa inizia come detto allo stesso modo; ma poi il passaggio dal la minore al mi minore avviene di nuovo cromaticamente, usando la cosiddetta "sesta napoletana". Questo accordo, sul secondo grado maggiore abbassato di un mezzo tono, a dire il vero non è napoletano e non è nemmeno una sesta! Più precisamente il nome "napoletana" potrebbe essere collegato al suo uso nella musica rinascimentale napoletana, oppure perché l'accordo può essere ricavato suonando la scala minore detta napoletana. Il nome "sesta", invece, deriva dal datto che generalmente veniva suonato nel primo rivolto, quindi nella posizione "di sesta". Nella musica tonale viene sempre preceduto da un accordo con una nota sul secondo grado, e seguito dalla tonica. Qua infatti è preceduto da un la minore a cui viene aggiunto il fa diesis; in altri casi, come nella beatlesiana Things We Said Today, il passaggio è II-bII-I in spregio come al solito a tutte le regole armoniche classiche. La sezione termina con la classica cadenza autentica, con l'accordo maggiore di dominante.
| Lam | Mim Sol/Re | Do7+ Si | Mim Lam | Mim | Mim9 | Mim: iv i III VI V i iv i
La parte finale del brano è indubbiamente orchestrale, di quelle che sembra aprano una porta dopo l'altra: il tutto in sei sole battute, di cui due contengono l'accordo finale. Si inizia con un classico: l'accordo di sottodominante che ti fa pregustare il passaggio alla dominante che invece non c'è, perché l'orchestra si ferma e l'interprete canta senza accompagnamento le ultime note. Tornati finalmente al nostro accordo sulla tonica, abbiamo il basso che questa volta non segue una scala discendente, perché continua a muoversi; però all'atto pratico porta l'orecchio a sentire gli accordi che ho indicato qui sopra. D'altra parte sia l'accordo di sol, soprattutto se gli si aggiunge una sesta che non fa mai male, che quello di do ampliato con la settima maggiore non sono altro che travestimenti di un mi minore con aggiunta un'ulteriore nota. A questo punto è implicito tornare alla tonica passando dall'accordo di dominante; ma non è ancora finita perché questa volta abbiamo una cadenza plagale, e dopo di questa il "punto esclamativo finale", cioè l'accordo di mi minore con l'aggiunta di un fa#. Questo finale jazzistico nel 1959 stava iniziando ad essere portato anche nella musica leggera passando per il rock'n'roll, e tra qualche anno sarebbe diventato così comune da venire quasi a noia, ma per il momento era un tocco di novità.
Come abbiamo visto, questa canzone non ha grandi voli pindarici dal punto di vista armonico. Eppure ha indubbiamente un suo fascino: non abbastanza per diventare un evergreen, ma comunque sufficiente per essere riproposta di quando in quando, e diventare il titolo di trasmissioni televisive (Rai, 2005) e produzioni teatrali (con la Banda Osiris, Enrico Rava e Gianmaria Testa, non esattamente gli ultimi arrivati). E garantisco che il motivetto resta per un po' in testa, quando la si ascolta.