Il 23 marzo 2007 è morto il matematico inglese John Cohen, noto per avere dimostrato che l'ipotesi del continuo è indipendente dagli assiomi usuali per l'aritmetica... Occhei, vi ho persi. Ricominciamo da capo, che è meglio, e partiamo con una premessa storica.
Nel 1874, Georg Cantor ha deciso che l'infinito matematico non era una semplice convenzione, come facevano tutti dai tempi di Aristotele, ma che esisteva davvero. Detto in altre parole, ha dato una definizione sensata di un insieme infinito: è un insieme per cui è possibile toglierne un pezzo e rimanere con un altro insieme grande uguale (tecnicamente, "che può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria"). I numeri interi sono cioè infiniti perché possiamo associare a ogni numero il suo doppio e vedere che i numeri pari sono tanti quanti gli interi. Avendo finito le lettere latine e greche, Cantor è passato all'ebraico e ha definito che "il numero totale degli interi" è ℵ0 (si legge alef-zero), dimostrando tra l'altro una bella lungimiranza. Infatti, dopo un po', si è accorto che i numeri reali sono più degli interi, e quindi che esisteva più di un infinito: per la precisione ce ne sono infiniti, se mi permettete il gioco di parole.
A questo punto restava però un dubbio: l'infinito "dei numeri reali" è quello immediatamente successivo a quello "dei numeri interi", oppure ce ne sono altri in mezzo? Questo è il tipo di domanda che piace tanto ai matematici, e infatti David Hilbert la mise in cima alla sua famosa lista dei 23 problemi matematici per il XX secolo. A dire il vero, Hilbert aveva trovato che la teoria degli infiniti era un bellissimo giocattolo, e quindi le diede il posto d'onore: però in effetti il quesito era interessante, e nemmeno banale. Il problema rimase infatti inattaccato per vari decenni: solamente nel 1940 Kurt Gödel, non pago di avere dimostrato che la matematica o è incompleta o incoerente, riuscì a provare che l'ipotesi del continuo non era falsa. In pratica, se supponiamo che il resto della matematica che di solito usiamo (quella che i matematici dicono essere basata su ZFC) sia coerente - non ci crederete, ma mica ne siamo certi - e aggiungiamo l'ipotesi del continuo, tutto rimane coerente. A Gödel la cosa andava bene, visto che era convinto che l'ipotesi del continuo fosse vera; solo che non riusciva a completare la dimostrazione. E ne aveva ben d'onde, visto appunto che nel 1963 Paul Cohen risucì a dimostrare che anche la negazione dell'ipotesi del continuo non era falsa. (Faccio notare il triplo salto carpiato della frase precedente, che ha tre negazioni al suo interno!) Quindi, sempre ammesso che il resto della matematica che di solito usiamo sia coerente, possiamo decidere di affermare che l'ipotesi del continuo è falsa, e tutto rimane coerente.
Il risultato pratico è quindi di piena libertà: uno può decidere di fare matematica accettando l'ipotesi del continuo, oppure negandola. All'atto pratico, a differenza di quanto accade con l'assioma della scelta che è la C dello ZFC di cui sopra, a parte qualche logico matematico nessuno si preoccupa più di tanto della cosa, visto che non ci sono risultati importanti da un punto di vista pratico scegliendo di adottare o no l'ipotesi del continuo. Diciamo che, presa l'operazione standard per passare da un cardinale all'altro che è "l'elevazione a potenza" (2C, proprio quella...) avere dei cardinali in mezzo tra C e 2C sarebbe divertente (anche se poi rischi di avere i cardinali inaccessibili, che non sono l'opposto di Eminence Ruini ma dei numeri che esistono ma dei quali non si riesce a dare una definizione nemmeno come limite, e di cui quindi ti fai ben poco), mentre non averne ti lascia un ordine molto pulito, perché sai sempre "chi viene dopo". Ma è appunto estetica!
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Maurizio Codogno, 30 marzo 2007
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