Una storia poco inventata

Supponiamo che il signor Sempronio abbia una sua piccola impresa: chessò, un timbrificio. Supponiamo anche che il tipo in questione non abbia una gran fantasia, o magari non voglia stupire il mondo con effetti speciali, e abbia deciso di chiamare la sua aziendetta "timbri Sempronio". Supponiamo infine che il nostro amico si sia appassionato a Internet, e nel lontano 1997 si sia preso il nome a dominio corrispondente al nome suo e della sua ditta: "sempronio.it". Si direbbe che va tutto bene e che il signore potrà godersi il proprio dominio, no? Sbagliato. Gli è tutto da rifare.

Una sentenza di primo grado del Tribunale di Bergamo ha infatti ingiunto al signor Luca Armani, titolare del timbrificio Armani e del nome a dominio armani.it, di consegnare immediatamente alla Armani - quella che se non sbaglio fa vestiti - il nome a dominio "armani", pena 5000 ? di multa per ogni giorno in cui non ottempera all'obbligo. Poi ci sono i 23000 euro di spese processuali come ciliegina.
Sì, "armani" senza l'".it" finale, almeno da quanto si è letto nel testo inviato dal difensore dell'Armani Luca. Non si sa bene cosa significherebbe ciò, ma magari il dispositivo completo della sentenza lo spiegherà meglio. La ragione è ovviamente legata al fatto che quello di Armani (il Giorgio) è un marchio "notorio", quindi non lo si può utilizzare nemmeno in ambiti diversi da quelli specifici del possessore.

Già parlare di cose legali senza avere alle spalle studi di giurisprudenza è Male: parlare poi senza avere letto tutta la sentenza rischia di essere un autogol. Magari il Luca Armani usava il timbrificio come copertura, e il suo sito faceva concorrenza al Giorgio... Se ho preso un granchio colossale, potrete tranquillamente sbertucciarmi. Lasciatemi però fare alcune considerazioni al proposito.

Pensiamo alla tutela

Per prima cosa, non ho nulla contro la tutela dei marchi. Anzi, ritengo che sia a favore del consumatore, che può aspettarsi una certa qualità del prodotto che non è detto che l'imitatore voglia raggiungere.
Non sono neppure contrario per principio al concetto di marchio notorio. Vedo infatti la cosa in questo modo: se qualcuno usa per un proprio prodotto il nome di un'azienda famosa, anche se in un campo merceologico diverso, sfrutta la fatica dell'altro per avere una partenza avvantaggiata. Più che altro mi infastidisce che non esista un elenco dei marchi notori; e mi infastidisce ancora di più che questa non esistenza sia voluta. Maper il momento, questo mi porterebbe fuori dal seminato: in fin dei conti, siamo tutti d'accordo che il marchio Armani (non il timbrificio!) sia notorio.
Infine, vorrei che fosse chiaro che il problema non è quello del diritto al nome: armani.it non era registrato al signor Luca Armani, ma al timbrificio Armani, né la cosa poteva essere diversa, dato che a quel tempo una persona fisica non poteva registrare un nome a dominio. Quindi il fatto che persino WIPO non abbia tolto il nome armani.com al signor A.R.Mani che si era fatto il proprio sito personale non è rilevante in questo contesto. Inoltre la legge italiana tutela "nome e cognome", non il semplice cognome...

Vinca il più forte?

Il significato di questa sentenza è pertanto chiaro: secondo il giudice, nel "settore Internet" non è mai possibile entrare con un nome corrispondente a un marchio notorio, non importa se c'è già un'attività con lo stesso nome. Questo è un banale corollario della struttura ad albero dello spazio dei nomi a dominio: di "armani.it" ce ne può essere solamente uno.
A questo punto però sorge spontanea una domanda, oltre a una serie di implicazioni pratiche. Perché uno può chiamare un timbrificio "Armani", ma non può chiamare così un sito internet? La risposta che mi è stat ufficiosamente data, che al Giorgio non gliene può importare di meno dell'esistenza di un negozio di timbri suo omonimo, mentre il sito internet ha tutta un'altra valenza, non mi convince affatto. Innanzitutto, nel 1997 Internet esisteva già da un pezzo, e se uno stilista per cui gli USA sono di casa non ne aveva sentito parlare, mi pare che il problema sia suo. Ci è infatti voluto un anno prima che iniziasse la causa... e cinque anni per arrivare a un giudizio di primo grado, ma questo non è poi così strano. Inoltre, se putacaso ci fosse ancora un altro Armani che ha un'attività che al momento non riveste interesse per la griffe, ma tra cinque anni diventerà importante, che succederebbe? Basterebbe di nuovo mettere in campo un po' di avvocatoni? Se devo essere sincero, mi viene quasi da sperare che nel dispositivo completo della sentenza si possa scoprire che in realtà Luca Armani faceva davvero concorrenza sleale...

Cosa loro

Purtroppo, la reazione (se così si può chiamare) ufficiale della Naming Authority non mi è piaciuta affatto. La cosa grave non è stata quello che è stato detto, vale a dire "Noi non possiamo fare nulla, se c'è una sentenza della magistratura". Questo è giustissimo, e poi ci possiamo sempre parare la testa dicendo "in fin dei conti, chi richiede un nome a dominio deve affermare di averne il diritto all'uso: è colpa del tizio se non si è peritato di scoprire se poteva registrarsi armani.it". Quello che mi ha reso triste è l'immobilismo manifestato dalla NA. Se si ritiene corretto il principio enunciato dal magistrato bergamasco, mi sembra naturale modificare le regole di naming per abbracciarlo, o fare comunque in modo che la cosa sia nota a chi sta per registrare un nome a dominio. In caso contrario, bisognerebbe riuscire a lavorare per far promulgare una legge che specifichi alcuni principi di base sul diritto a un nome a dominio, dando così un quadro normativo più stabile.

Qui però casca l'asino. Ricorderete certo la petizione che io e Vittorio Bertola preparammo in tutta fretta perché potesse venire presentata in pccasione della riunione ufficiale del Tavolo dei Dominii del 20 dicembre scorso: in meno di una settimana eravamo riusciti a raccogliere quasi 500 firme. Molti di questi si saranno chiesti cosa è successo in seguito, e perché siamo restati silenti.
La risposta è semplice: non è successo assolutamente nulla. La sera stessa del 20, il direttore del Comitato Esecutivo della NA mi ha telefonato, dicendo che la nostra proposta alternativa era stata ricevuta e discussa, e di non preoccuparsi. Da allora io non ho più saputo nulla, il che non è bello visto che fino alle prossime elezioni sarei il vicepresidente NA. Ultimamente si è scoperto che esisterebbero dei "fogli e foglietti virtuali" con una serie di appunti, ma nulla di ufficiale.
Comprendo che il Governo abbia ben altro a cui pensare, ma la situazione mi pare chiara: prima o poi avremo una nuova convocazione del Tavolo dei Dominii dove verrà ratificata la Fondazione Antonio Meucci con testo praticamente identico a quello proposto a dicembre, e fine dell'esistenza di NA non solo come "assemblea studentesca", ma come gruppo di persone che sui dominii ci ha sbattuto la testa per anni. E questo per me è molto peggiore del non avere più i cappellini da Diretur oppure VP: purtroppo resto un sognatore e non sono capace ad adeguarmi al Mercato.

Il nome armani.it, insomma, è il banco di prova per il Nuovo Sistema dei Dominii. Buona fortuna a tutti, e aspettate la nuova splendida avventura con IDN: lettere accentate, ideogrammi, e chi più ne ha più ne metta!

25 marzo 2003
© Maurizio Codogno per Beta.