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In My life: chi l’ha scritta?

Tra i Grandi Misteri della Musica Pop c’è quello di chi è stato il compositore di In My Life. Come gli appassionati beatlesiani sanno bene, dopo il 1963 è difficile che le canzoni siano state composte effettivamente in tandem da John Lennon e Paul McCartney: il raffinamento del brano era sì opera di tutti, ma testo e melodia nascevano da uno solo dei due, anche se l’accordo era di mettere entrambi i nomi come coautori. (C’è anche una lunga storia sul perché sono indicati come “Lennon-McCartney” e non viceversa: all’inizio pare che il primo nome dovesse essere quello dell’autore principale del brano, ma poi si sono sbagliati con Please Please Me e per sicurezza si è deciso di mantenere l’ordine vincente. Il solito Lewisohn spiega tutto). Il massimo che poteva capitare è che si appiccicassero due frammenti di canzoni distinte, come nella notissima A Day In the Life o nella meno nota I’ve Got a Feeling. Ma che succede invece con In My Life? Il testo è sicuramente di John, che affermò anche in un’intervista di avere composto quasi completamente la melodia e che Paul l’aveva aiutato solo con l’armonia e “il middle eight” (che in realtà in questo caso è la parte “All these times had their moments…”; Paul disse invece (con Lennon ancora vivo, anche se nel periodo in cui si era ritirato dalle scene) che la musica era quasi tutta sua. La tecnica classica di discriminazione “il solista è chi canta la voce principale” non funziona, perché comunque il testo è lennoniano. E allora? E allora si è provato ad addestrare un’intelligenza artificiale dandole in pasto alcuni brani di cui l’autorialità era fuori discussione e vedendo cosa avrebbe tirato fuori. L’articolo tecnico che descrive cosa è stato fatto è disponibile qui, mentre una spiegazione più alla portata di tutti si può leggere qui.

La frase chiave dell’articolo tecnico è la seguente: “Our model produces a probability of 18.9% that McCartney wrote the verse, and a 43.5% probability that McCartney wrote the bridge, with a large amount of uncertainty about the latter.” Non riesco bene a capire come si possa dare una probabilità (con tre cifre significative, ma questo è un problema generico di chi usa questi modelli in maniera bovina) e dire allo stesso tempo che c’è molta incertezza sul suo valore: tipicamente questo significa che la deviazione standard è alta, ma allora sarebbe stato meglio mettere una forchetta di dati. Ma soprattutto il modello pare non accorgersi del fatto che sia John che Paul non hanno avuto problemi ad assegnare la seconda parte a quest’ultimo! La mia conclusione, banale quanto volete, è che questi modelli non hanno alcun senso. In fin dei conti essi nascono come applicazioni dei big data, e per quante canzoni i Beatles abbiano scritto non possiamo certo considerarle come big data. Aggiungiamo poi il fatto che il duo non operava in camere stagne ma aveva una serie di interazioni: nell’articolo su Anglotopia è riportata la frase “Forse la musica è di McCartney che faceva lo stile di Lennon”, il che potrebbe anche non essere una battuta; l’accordo di sottotonica (il sib in un brano in do, per capirci) su “for people and things” ricorda Lennon ma potrebbe appunto essere stato aggiunto apposta dal suo collega. Insomma lasciamo perdere tutte queste analisi, notiamo che non ci serve un’intelligenza artificiale per accorgerci che i passaggi cromatici sono tipicamente lennoniani, e soprattutto apprezziamo la musica. Ah: Paolo Alessandrini in Matematica Rock parla più matematicamente del tutto :-)

App tracciacontatti, privacy e modelli di business

Continuiamo a essere nel pieno della pandemia da CoViD-19. Non abbiamo nessuna idea di cosa possiamo fare per tornare a una vita non dico normale ma almeno senza essere segregati in casa; ma è chiaro a tutti che questa situazione non può proseguire per troppo tempo, anche senza tenere conto delle notevoli spinte di Confindustria e soprattutto Assolombarda… anche se la Lombardia per com’è la situazione attuale dovrebbe essere di gran lunga l’ultima regione italiana a poter permettere un rilassamento del lockdown. Ma la pandemia per sua stessa definizione non è solo italiana ma mondiale; ecco dunque che ovunque ci si sta scervellando su quali possano essere le soluzioni da adottare, sapendo perfettamente che almeno per il momento non esiste una panacea ma bisognerà adottare un mix di misure ciascuna delle quali contribuirà a ridurre l’ormai arcinoto parametro R0, quello che misura la contagiosità dell’infezione e che è stato spiegato bene da Angela Merkel (visto che avere studiato serve?) Tra le proposte c’è quella di tracciare i contatti personali per monitorare i contagi, e qui cominciano le danze.

Una fase della proposta Apple-Google per il tracciamento del contagio (dalle loro specifiche)

Avrete sicuramente sentito almeno parlare della strana alleanza tra Apple e Google, che hanno presentato una proposta di un’app per il tracciamento del contagio. Questa app “ovviamente” sarebbe installata su base volontaria, ed è stata studiata pensando alla privacy. Semplificando al massimo la proposta, ogni telefono in cui l’app è installata controlla con regolarità se ci sono altre app nei paraggi, e in caso affermativo le due app si scambiano un identificativo. Se una persona risultasse positiva al CoViD-19, l’app recupererebbe tutti i dati raccolti negli ultimi 15 giorni e li invierebbe a un server centrale; a tutte le persone che si sono trovate nelle vicinanze del malato verrebbe segnalata la situazione di possibile pericolo, invitandole a fare un controllo e mettersi in quarantena preventiva. Il vantaggio pratico della soluzione è per l’appunto il potere “tornare nel passato” e trovare persone che potenzialmente sono già infette e contagiose ma non hanno ancora sintomi della malattia; bloccando solo loro si permette al resto della popolazione di muoversi con maggiore libertà. Il primo passo sarà avere per la metà di maggio una serie di API (interfacce pubbliche) interoperabili tra i due sistemi; il passo successivo sarà modificare Android e iOS per avere direttamente nel sistema operativo la funzionalità di tracciamento, che però avrà sempre bisogno di un’app esterna.

La prima cosa che viene in mente leggendo la proposta è naturalmente chiedersi se la privacy è davvero rispettata. Io non ho le competenze necessarie per dare una risposta definitiva. Comprendo la logica alla base di scegliere Bluetooth e non GPS come modo per ottenere i dati di vicinanza: in questo modo, anche se qualcuno riuscisse ad accedere ai nostri dati, non potrebbe scoprire dove siamo stati ma solo quanti sono stati i nostri contatti; non quali sono, perché il server non conosce i nostri dati visto che è il nostro telefono a collegarsi per sapere se siamo stati in contatto con un contagiato, e uno dei principi fondamentali della sicurezza è “meno sai, meno danni può fare un baco di sicurezza”. È anche positivo il fatto che Apple e Google abbiano rese pubbliche le specifiche tecniche della loro soluzione: sicuramente saranno scrutinate con molta attenzione dagli esperti di privacy e di crittografia. Ma ci sono altri problemi che non mi fanno sentire molto tranquillo.

Innanzitutto, una funzionalità su base volontaria funziona allo stesso modo di una vaccinazione. In quest’ultimo caso occorre raggiungere l’immunità di gregge: una percentuale piuttosto alta della popolazione, che dipende dalla contagiosità della malattia ma che varia tra l’80 e il 95%. Nel caso dell’app avremmo qualcosa di simile: una certa percentuale di persone deve usarla per avere un tracciamento globale. Le stime che leggo variano dal 60 al 75%, probabilmente tenendo conto del fattore R0 più basso che per altre malattie; ma ho dei dubbi sulla validità di questa banale trasposizione, che non tiene conto della diversa logica dei due sistemi. Chi usa l’app non è infatti immunizzato, ma solo controllato; quindi può contagiare ed essere contagiato. Bene: chi ci assicura che l’app parta in pompa magna, si vede che i risultati sono deludenti, si dà la colpa alla bassa percentuale d’uso e la si renda obbligatoria? E una volta che l’app è obbligatoria, chi ci assicura che nessuno pernserà di usarla per altri tipi di controllo?

C’è poi il problema di un oligopolio – quello dei produttori di software per telefonini – che si sta rafforzando sempre più. Al momento c’è già qualcuno che sa perfettamente cosa facciamo e dove ci muoviamo, e sono gli operatori di telefonia mobile. È vero che i loro dati sono tipicamente meno precisi: come scrissi in occasione della grande mossa del governatore lombardo Fontana che chiese i dati aggregati per scoprire come i milanesi si stavano muovendo troppo, a me non serve neppure uscire di casa per passare da una cella a un’altra. Ma quello che probabilmente conta di più è che giustamente questi dati hanno dei vincoli d’uso molto stretti, e quindi non possono essere usati all’atto pratico. (Immagino anche ci sia poca inventiva da parte delle Telco per trovare degli usi interessanti ma rispettosi della privacy; non che io abbia tutta questa inventiva, intendiamoci, altrimenti avrei già proposto dei servizi). Una delle cose peggiori dei dati anonimizzati è però che possono diventare ben poco anonimi se incrociati con altri dati. Per esempio, se qualcuno sapesse più o meno dove abito e in che azienda lavoro potrebbe scoprire qual è il telefono che posseggo, guardando semplicemente gli spostamenti di tutti e filtrando i dati. Google e Apple al momento hanno dati più precisi ma meno facili da incrociare con altri dati pubblici; un insieme di coppie di vicinanza potrebbe essere incrociato in molti casi con la geolocalizzazione telefonica storica per recuperare i numeri corrispondenti alle connessioni anonime. Per evitare una cosa del genere, come minimo il server centralizzato dovrebbe essere gestito da una terza parte, e così d’acchito non saprei dire se è meglio che questa terza parte sia governativa – meglio, paneuropea – o privata. Sicuramente lo European Data Protection Board si sta preoccupando dei temi della privacy, ma non so fino a che punto.

Io ho provato a cliccare, ma non ho trovato nulla. Forse devo essere abbonato?

Infine… abbiamo l’italica app, scelta dopo regolare bando di concorso. In Italia siamo sempre pronti ad avere soluzioni autarchiche, dalla PEC a SPID, che di per sé funzionicchiano anche ma non sono assolutamente interoperabili, oltre ad essere rigorosamente gestite da privati o pseudoprivati. In questo caso, a oggi sappiamo ben poco di Immuni, se non che è stata fatta da una software house milanese in collaborazione con una nota catena lombarda di poliambulatori privati (che pure il mese scorso pare lavorassero a un’app di tipo ben diverso e da una società di marketing che evidentemente avrà collaborato per rendere la proposta più appetibile. Sicuramente l’ordinanza – che chissà come mai non sono riuscito ad aprire dal sito del Corriere che pure indicava il link da cliccare – non dice assolutamente nulla di tecnico, né contiene allegati tecnici sulla soluzione. Per quanto io possa parlare male di Apple e Google, la security by oscurity mi pare ancora più preoccupante: al governo e al commissario straordinario evidentemente no, o forse magari hanno avuto tutte le spiegazioni del caso con un obbligo di non divulgazione.

Ah sì: contemporaneamente oggi pare che Regione Lombardia abbia ampiamente pubblicizzato la loro app AllertaLom, che è stata recentemente aggiornata per chiedere a chi l’ha installata di segnalare ogni giorno il suo stato di salute. A quanto pare non c’è la possibilià di cliccare sul pulsante “come ieri” o anche solo di partire dai dati del giorno precedente per modificare quelli cambiati. Tutto questo riduce di molto il numero di volontari che si mettono a scrivere tutto ogni giorno; ma tanto l’app è stata scaricata da 50000 utenti sui 10 milioni di abitanti, e vi lascio quindi immaginare l’utilità pratica…

Ultimo aggiornamento: 2020-04-17 22:24

Classifiche di vendita Amazon

È vero. Non occorrono “troppe” copie vendute per finire in cima alla classifica dei libri più venduti di Amazon. Ma è anche vero che se in questo momento c’è scritto che occorre aspettare da uno a tre mesi per acquistare “Io sono Matteo”, nonostante immagino che i furboni di Altaforte avessero fatto una discreta tiratura iniziale, direi che si parla di un numero di copie nell’ordine delle migliaia, almeno estrapolando cosa succedeva con i miei libri. (Occhei, bisogna estrapolare molto: io al limite vedevo acquistate una decina di copie :-) )

Detto questo, e premesso che mi è già bastato leggere l’autobiografia precedente del VicePresConsMin e quindi non perderò certo tempo anche con questo, non credo proprio che chi ha comprato questo volume ne prenderà poi altri di Altaforte (a meno che non sia Pigi Battista). Ma ho capito che almeno nella mia bolla il mio pensiero è minoritario: amen.

Ultimo aggiornamento: 2019-05-10 12:33

Altaforte

È vero: sono parecchi anni che manco dal Salone del Libro. In passato però l’ho sempre frequentato con molta attenzione, saltando a piè pari gli stand dei grandi editori – tanto mi bastava passare in libreria per vedere le loro novità – e dedicandomi ai piccoli. Posso assicurarvi che in mezzo al marasma di stand che spesso con i libri non avevano nulla a che fare ci sono sempre stati editori di destra estrema, di quelli insomma che nascondono le spranghe dietro un doppiopetto e fanno mostra di essere “alternativi” e “fuori dal coro”. (Nota tecnica: stare sempre alla larga da chi dice di essere fuori dal coro. Se sei costretto ad affermarlo esplicitamente, significa che hai solo schifezze)

La settimana scorsa ho scoperto, “grazie” all’italica stampa, che c’è una nuova casa editrice che si chiama Altaforte ed è stata fondata dal casapoundista Francesco Polacchi. Insomma Altaforte pesca nello stesso ambiente di estrema destra, tanto che nel loro sito c’è una sezione “LA CASA DEGLI EDITORI” con nomi di editori a me più noti tipo Il Primato Nazionale e Bietti. Il catalogo di Altaforte mi pare dello stesso tipo di quelli degli editori destrorsi di cui sopra. Però… Però Altaforte pubblicherà in occasione del Salone del Libro un libro di Salvini. No, diciamola giusta: pubblicherà un libro con “cento domande e cento risposte” all’attuale vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno e stakanovista degli incontri elettorali, scritto da una giornalista del Giornale, con prefazione di Maurizio Belpietro dell’ossimorica Verità e a cura dell’attivista di CasaPound Vincenzo Sortino. Insomma tutta gente che a Salvini piace molto, o almeno lui ci ha fatto sempre sapere così: non escludo neppure a priori che non sia stato un gentile omaggio per interposta persona (leggi, far fare loro un po’ di soldi oltre che di pubblicità).

Però noi siamo in Italia. Avete presente qual è il valore del mercato librario. Anche ammesso che frotte di ammiratori dell’omo de panza avessero comprato il libro, la probabilità che si fossero interessati delle altre opere pubblicate da Altaforte sarebbe stata minima. Sarebbe insomma successo quello che capita sempre: un flop. E invece stavolta non è così: fioccano le disdette per il Salone da parte di chi probabilmente è sinceramente convinto che questo sia il primo anno in cui partecipa un editore fascista. Ci credo che dalle parti di CasaPound gongolino: più sdoganamento di così non ce n’è, e soprattutto riescono a non far notare le loro spranghe ma appunto a darsi una patina di vittime culturali. Continuo a pensare che forse costoro stanno facendo il gioco dei fascisti che su queste cose ci sguazzano.

Questa brutta legge elettorale

da https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_2018

Questa che vedete è la tabella riassuntiva dei risultati elettorali delle politiche 2018. Come potete vedere, sono indicate sia la percentuale delle preferenze ricevute che quella dei seggi effettivamente ottenuti. Abbiamo avuto in pratica un sistema proporzionale corretto, con i piccoli partiti (e la coalizione di centro sinistra in generale) che risulta penalizzata e i grandi partiti (e la coalizione di centro destra) avvantaggiata.

Tutte le volte che un grillino scrive È COLPA DI QUESTA LEGGE INIQUA SE NON POSSIAMO GOVERNARE!!!!12!, mostrategli questa tabella e chiedetegli quale legge avrebbe permesso loro di governare con il 32,78%. In effetti nella storia dell’Italia ce n’è stata una, e in effetti quella legge aveva anche un collegio unico nazionale. Strano, ma vero.

Gli aumenti della luce

Ho provato a leggere il comunicato dell’Autorità per l’Energia che spiegherebbe come in media le tariffe elettriche cresceranno del 5,3%. Non ci ho capito nulla: mi pare che il prezzo aumenterà perché costa di più produrre e importare energia elettrica, come il signor di Lapalisse affermava già a suo tempo; forse si parla anche delle cavallette, ma non ne sono certo della cosa.

 

In realtà non è affatto così: se guardate la ripartizione dei costi e la confrontate con quella del secondo semestre 2016 potete notare come sì, c’è un leggero aumento della percentuale dovuta all’energia, ma molto meno di quanto ci si potesse aspettare. Quelle che crescono davvero sono le “spese per oneri di sistema”. E a cosa è dovuto questo aumento? Semplice: alla «variazione della componente degli oneri generali per la copertura degli
incentivi alle imprese a forte consumo di energia». Traduzione in italiano: noi utenti volgari paghiamo l’industria perché possa usare l’elettricità a prezzo più basso.

D’altronde vi ricordo che il nostro mercato energetico aveva una tariffa tutelata che casualmente è stata eliminata: dal 2018 il bispensiero ha estratto dal cappello il PLACET, “Prezzo Libero A Condizioni Equiparate di Tutela”: qui mi spiace ma non riesco proprio a tradurre in italiano corrente l’ossimoro. Semplice, no?

Ultimo aggiornamento: 2017-12-29 12:19

I conti della pensione

Ieri Repubblica – ma trovate la notizia un po’ su tutti i quotidiani – ha pubblicato un articolo che riprende uno studio della Uil, secondo cui gli italiani stanno in pensione per meno anni rispetto agli altri europei. Come nelle migliori tradizioni italiane, nessuno mette un link per tale studio: d’altra parte tipicamente questi articoli sono rielaborazioni di notizie d’agenzia, e nemmeno loro tipicamente mettono i link, come si può vedere per esempio nel lancio Adnkronos.

D’altra parte un utente un minimo sgamato non fa troppa fatica a trovare il link allo studio Uil: partiamo dunque da qui. Anche in questo caso troviamo semplicemente scritto «DATI MISSOC 2016, EUROSTAT 2015» senza alcun link per andare a verificare indipendentemente i dati, quindi la nostra ricerca deve proseguire. Prendiamo per esempio le donne in UK, che secondo lo studio godrebbero di quattro anni e tre mesi di pensione in più delle donne italiane (calcolando la differenza tra minore aspettativa di vita e minor numero di anni per andare in pensione). La tabella in effetti dice che in Italia le donne vanno in pensione a 65 anni e 7 mesi mentre in UK lo fanno a 60 anni. Peccato che questa – almeno per quanto riguarda il Regno Unito – sia una palla. I primi dati che ho trovato in rete affermano che l’età attuale è 63 anni e mezzo (in crescita ancora maggiore che in Italia, ma di questo ne parleremo dopo); Wikipedia ha una tabella che mostra come nel 2016 l’età di pensionamento era intorno ai 63 anni (cresce nel corso dell’anno, quindi non posso dare una risposta più precisa non sapendo dove è stato fatto il conto). Aggiungiamo il fatto che non esiste solo la pensione di vecchiaia (almeno in Italia ma penso anche all’estero) ma anche quella di anzianità, e il fatto che è vero che la nostra età pensionabile cresce ma lo fa anche, e forse di più, quella britannica.

Riepilogando, io capisco che un sindacato, sopratutto in Italia dove la maggior parte degli iscritti è pensionata, cerchi di portare acqua al proprio mulino. Ma farlo in questo modo è solamente torturare il buonsenso… che effettivamente però difetta parecchio al giorno d’oggi.

Ultimo aggiornamento: 2017-12-05 16:39

Come sfruttare una buona idea

Su Twitter è apparsa questa immagine di Krsto Lazarevic‏ che mostra fianco a fianco un poster del 1938 che pubblicizzava il Winterhilftwerk nazista e un manifesto elettorale croato di quest’anno, con il commento “come vedete, non hanno nulla in comune”. In effetti, il ragazzo a sinistra non ha la camicia bruna e i suoi capelli sono più scuri; inoltre il disegno pare più sciatto.

Io sono una personcina malfidata; soprattutto in caso di reductio ad Hitlerum preferisco cercare conferme indipendenti: in questo caso è stato piuttosto facile. Il manifesto nazista è di Max Reimer, e lo potete vedere nel sito del Lebendiges Museum Online tedesco. Per quanto riguarda l’immagine croata, l’ho trovata sul sito del partito HSP (copia archiviata), e da quel poco che Google Translate mi fa capire è il poster di un candidato di Korčula (Curzola per i nostalgici) alle elezioni locali croate nella regione del sud. In effetti la chiesa lì disegnata mi pare tanto quella della cittadina nota almeno ai croati come patria natia di Marco Polo.

D’altra parte, “Dio / Patria / Famiglia” sono sempre un bel terzetto, no?