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08/05/2014 Uncategorized , , , ,

Matematica o teologia?

Il matematico tedesco del diciannovesimo secolo Paul Gordon si dedicò per vari anni a cercare di dimostrare quello che è oggi noto come il teorema della base di Hilbert, perché fu appunto quest’ultimo che lo dimostrò, usando però un approccio non costruttivo. In pratica Hilbert fece vedere che deve per forza esistere una base finita, ma non spiegò affatto come trovarla. Si dice che quando lesse quella dimostrazione Gordon commentò “Das ist nicht Mathematik, das ist Theologie!”. La citazione è probabilmente apocrifa, anche se molto nota nell’ambiente dei matematici. L’accostamento di matematica e teologia può sembrare arbitrario, anche se proprio in quel periodo ci fu un carteggio tra George Cantor e il cardinale gesuita Johann Baptiste Franzelin sulla possibilità teologica dei numeri transfiniti; sembra però che duecento anni prima ci fosse già stata una simile diatriba, e gli argomenti portati fossero per l’appunto più teologici che matematici.

Forse vi ricordate di avere studiato a scuola il principio di Cavalieri, dal nome del matematico italiano Bonaventura Cavalieri che per calcolare il volume di un solido si inventò gli indivisibili: fettine così sottili che si potevano considerare bidimensionali – appunto, non si potevano dividere ulteriormente – ma che comunque messi tutti insieme formavano il solido. Se due solidi avevano le fettine rispettivamente equiestese tra loro (cioè ogni fettina aveva la stessa area della fettina corrispondente), allora il loro volume era la stesso. Questo metodo può essere visto come un passo per arrivare alla formulazione del calcolo integrale: ma anche se Cavalieri era stato attento ad affermare che il suo non era altro che una ripresa del metodo di esaustione usato in antichità (e quindi sdoganato come valido matematicamente valido) egli fu duramente attaccato. No, a scuola non ci hanno mai raccontato di questi attacchi, probabilmente perché il più accanito contestatore di Cavalieri non era italiano ma lo svizzero Paul Guldin. Si sa, lo sciovinismo affiora nei luoghi più impensabili. Guldin in pratica affermava che Cavalieri non stava facendo una costruzione, ma una “decostruzione”, nel senso che partendo da una figura la scomponeva in un numero infinito di parti; e questo non era possibile secondo le tecniche matematiche accettate all’epoca. Inoltre, sempre per Guldin, Cavalieri affermava che per esempio nel caso bidimensionale una superficie era costituita da un numero infinito di segmenti, il che era evvidentemente impossibile. La diatriba continuò per un bel po’, con altri matematici che si unirono ai due contendenti – Stefano degli Angeli con Cavalieri e Mario Bettini e Andrea Tacquet con Guldin – anche se venne poi dimenticata con la nascita del calcolo infinitesimale che dava ben altri temi su cui contendere. Ora però lo storico della matematica Amir Alexander ha dato una lettura completamente diversa di questa lotta nel suo libro Infinitesimal: How a Dangerous Mathematical Theory Shaped the Modern World, lettura di cui trovate un riassunto sullo Scientific American.

Alexander fa infatti notare come Cavalieri (come del resto Stefano degli Angeli) apparteneva all’ordine religioso dei Gesuati. No, non è un errore di stampa; tra il 1360 e il 1668 ci fu davvero un ordine con questo nome, generalmente composto da laici (frati) senza una grande cultura, ma evidentemente con alcune eccezioni. Guldin e i suoi sodali erano invece gesuiti, con la i. Tutta la discussione tra i vari studiosi restò quasi sempre strettamente nell’ambito matematico, immagino perché affidarsi a principi teologici sarebbe loro sembrata una sconfitta; ma qua e là spunta una frase che fa capire che entrambe le parti sapevano che sotto sotto c’era qualcos’altro, che soprattutto per i gesuiti era troppo importante per lasciar correre. La tradizione matematica gesuitica inizia infatti con Cristoforo Clavio (astronomo, ma soprattutto Primo Matematico nella Commissione pontificia per la riforma del calendario giuliano: mica pizza e fichi!), che riprese la concezione gesuitica in un universo perfettamente certo, gerarchico e ordinato e la applicò alla matematica, trovando che il metodo euclideo con partenza dagli assiomi primi e la costruzione esplicita di architetture sempre più complesse rappresentasse nel miglior modo possibile la creazione divina dell’universo tutto. È naturale che l’approccio di Cavalieri rovinasse questa teoria, tanto che Guldin tuonò “Ciò che non esiste né può esistere [gli indivisibili] non può essere confrontato, e non v’è dunque da meravigliarsi che porti a paradossi, a contraddizioni e infine all’errore [da leggersi in senso non solo matematico ma teologico]”. L’ultima risposta di Cavalieri fu che “Perché una dimostrazione sia veritiera non è necessario descrivere nella realtà fisica l’analogia tra le figure, ma è sufficiente assumere che siano state descritte mentalmente”. In pratica vediamo lo stesso scontro degli ultimi decenni tra costruzionisti e intuizionisti, solo declinato in salsa teologica. Non venitemi poi a dire che la matematica è troppo terra terra per avere un qualunque interesse che non sia strettamente pratico!

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