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24/06/2010 Uncategorized ,

Il tennis è un gioco iniquo

Mentre scrivo queste righe, a Wimbledon stanno aspettando che si riprenda per la seconda volta il match tra John Isner e Nicolas Mahut. Il problema per una volta non è stata la pioggia: alla fine della seconda giornata di gioco, l’incontro era infatti stato di nuovo sospeso per oscurità, mentre i due maratoneti si trovavano sul… 59 pari. Un punteggio cestistico più che tennistico, che entrerà dritto dritto nel Guinness dei primati per non uscirne probabilmente mai più. Sono parecchi gli sport che almeno in linea di principio possono produrre una partita infinita: si pensi a una finale di calcio dove le due squadre arrivano ai rigori e continuano a segnarli o farseli parare in simultanea. Il tennis però ha una peculiarità: in casi patologici come questo il vincitore finale potrebbe avere messo a segno molti meno punti dell’altro.

Nel calcio, nel basket, e in tanti altri sport non ci sono di questi problemi: chi fa più punti vince. Il tennis, come e peggio della pallavolo, è fatto in modo che non si giochi una singola partita ma un certo numero di esse, i set; nel tennis anche ogni set è una partita multipla, composta da vari giochi. Questo significa che è possibile per un giocatore vincere l’incontro mettendo a segno molti meno punti dell’avversario: basta che nei giochi e nei set che perde l’altro faccia sempre cappotto, mentre in quelli che vince l’altro faccia comunque il massimo dei punti.

Facciamo un po’ di conti. Un gioco lo si può vincere a zero, il che significa 4 punti a zero. Se perdiamo i primi due set 0-6 0-6, l’avversario parte con una dote di 48 punti a zero. I giochi si vincono con almeno due punti di differenza, quindi 4-2 (da 40-30 si fa il punto decisivo), 5-3 (da 40 pari, vantaggio e gioco), 6-4 e così via. Qual è il punteggio più favorevole? Se la differenza tra i due elementi da sommare ai punteggi è costante e in direzione opposta a quella di partenza, come nel nostro caso, conviene aggiungere la più piccola, per non inquinare troppo il risultato. Avete tre possibilità per convincervi che funziona così: fare i conti, fidarvi di me oppure notare come andando all’infinito il rapporto tra i punti fatti dai due giocatori tenda a 1 ed estrapolare il comportamento con pochi punti. Per quanto riguarda i set, il ragionamento è simile, ma occorre stare attenti e verificare quale punteggio finale tra 6-4 e 7-6 (con il tie break finito 7-5) sia meglio. Nel primo caso si può arrivare a vincere il set con 24 punti contro 28; nel secondo con 31 punti contro 41, che è sicuramente meglio per il nostro record. Quindi se terzo e quarto set finiscono 7-6 (7-5) 7-6 (7-5) siamo a 62 punti contro 130. Resta il quinto set: visto che a Wimbledon – a differenza degli altri tornei – sul 5-5 si va avanti a oltranza finché qualcuno riesce a fare due giochi più dell’altro, per il nostro record ci conviene fermarci sul 6-4 e terminare l’incontro vincenti, pur avendo fatto solo 86 punti contro 158.

Insomma, nel caso più eclatante si può vincere un incontro a Wimbledon facendo poco più della metà dei punti dell’avversario. Non è certo il caso della partita tra Isner e Mahut, dove posso immaginare che i punti totali, oltre a essere troppi, siano più o meno equamente distribuiti; però i poveri produttori di libri statistici possono appellarsi a questo tipo di conteggi per sperare di trovare qualcosa di nuovo nei prossimi anni!

Un ultimo problemino “tennistico”. Il tabellone di Wimbledon parte con 128 giocatori: ci sono quindi 64 partite al primo turno, 32 al secondo e così via dimezzando fino alla finalissima. Immaginiamo però che per un ricorso all’equivalente britannico del TAR capiti che un anno bisogna far spazio ad altri cinque tennisti che si erano rivolti al tribunale per far valere i propri diritti contro l’illegale prevaricazione dell’organizzazione. Come si può organizzare il calendario per minimizzare il numero di partite da giocare?

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