Venerdì 21 novembre

Inizia il nostro tour dell'Isola del Sud, quello che abbiamo preso organizzato per iniziare in maniera un po' soffice. Arriviamo con i nostri valigioni al punto di incontro, dove troviamo il bus e l'incaricato che, alla mia timida domanda "abbiamo dieci minuti di tempo per fare colazione?" risponde "sì, ma non osate mangiare nel bus!". Palle. Poi mangiavano tutti.

Mentre usciamo dalla città, Anna mi fa notare la quantità abnorme di negozi di parrucchiere che ci sono in città. Effettivamente non ci avevo fatto caso, ma sembra davvero che qui vadano tutte le settimane a rimettersi in sesto la chioma. Usciti dalla città, l'impressione che domina è quella di spazio. Il panorama non è poi così diverso dalle zone del nord Italia vicino alle montagne, se non che il verde dell'erba e l'azzurro del cielo sono più vivaci; però mancano del tutto le case, o cascine, o roba simile. Ci sono distese di campi, tutti recintati, e nessuna persona.
In compenso non mancano le bestie. Greggi di pecore a sinistra e mandrie di mucche a destra, oppure mandrie a sinistra e greggi a destra. La massima varietà si aveva con un branco di cervi che spuntava qua e là. I recinti penso servano a delimitare i pascoli, in effetti: mi chiedo solo quanti ettari di terreno abbiano gli agricoltori.

Abbiamo in compenso scoperto non solo che il nostro bus fa anche servizio interurbano per quei pochi abitanti locali, e fin qua non ci sarebbe nulla di male, ma che tutto il mondo è paese. Altro che "pausa pipì" ogni due orette: qua ogni ora avevamo una decina di minuti di pausa, chissà come mai sempre presso un negozio di souvenir vari. A un certo punto abbiamo temuto che ci volessero presentare una bellissima batteria di pentole a un prezzo da Vero Affare.
Una delle rare pause senza secondi fini è stata quella alla chiesetta del Buon Pastore, comprensiva a lato della statua al cane da pastore che tanto ha aiutato lo sviluppo della Nuova Zelanda. La chiesa, "non denominational" (insomma, una joint venture tra le varie confessioni cristiane della zona) non è un gran che, se non fosse che al posto dell'abside ha dei finestroni con una stupenda vista sul lago Tekapo sulle cui rive si trova. E' chiaro come mai la gente faccia la fila per andare a sposarsi.
Il lago ha l'acqua di un azzurro intensissimo, dovuto alle particelle di roccia che sono state portate dall'acqua di fusione glaciale. Sembra proprio tutta un'altra cosa rispetto ai nostri laghi glaciali, bisogna dirlo.

Il tempo purtroppo è peggiorato, e quando siamo arrivati al National Park del monte Cook pioveva e tirava vento forte. Il vento tra l'altro dev'essere una costante, qua: abbiamo infatti visto nelle Canterbury Planes una sfilza di filari d'alberi uno attaccato all'altro e potati come fossero gigantesche siepi. Con ogni probabilità fanno da frangivento.
Stante il tempaccio, non abbiamo potuto vedere il monte Cook, e siamo stati costretti a stare dentro il complesso dell'Hermitage, che tra l'altro è di una bruttura che fa ricordare certi scempi architettonici italiani.

Il resto del viaggio non ha dato grossi punti di interesse, anche se l'ultima sosta per una volta non è stata in uno dei soliti negozi da souvenir, ma in un posto che vende frutta e verdura, il che ha migliorato la qualità della nostra vita... a parte le enormi pigne che erano in vendita non si sa bene a quale scopo.

L'arrivo a Queenstown vede il cielo plumbeo, e noi piazzati in questo albergone, della catena Rydges, che dà una sensazione di americanata. Dopo essere riusciti a farci strada in mezzo a un tour di giapponesi, ci danno la chiave della nostra stanza che a dire il vero non ci sembra troppo "deluxe" come da coupon, anche se effettivamente ha una bella vista sul lago. La recezionista se ne deve essere accorta, visto che ci ha dato i buoni per la colazione (che tanto per cambiare era esclusa), affermando che era "perché siete in luna di miele".
Abbiamo fatto due passi per il centro della cittadina, notando che a differenza di Christchurch qui i negozi sono aperti fino a tardi - bisogna pure spennare i turisti, no? - e abbiamo cenato a un ristorante giapponese, il Minami Jujisei (sta per "Croce del sud"). La Lonely Planet afferma che è stato premiato più volte come il miglior ristorante giapponese della Nuova Zelanda: noi possiamo dire di aver mangiato davvero bene e nemmeno troppo caro, anche se il prezzo delle bevande è sempre esagerato.

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