Può sembrare impossibile, ma nel mio curriculum posso anche vantare una rappresentanza come sindacalista. No, "sindacalista" non è il termine esatto, considerando che non avevo affatto una tessera sindacale... ma andiamo con ordine.
Ho lavorato per molti anni in Cselt, che, come tutte le aziende di una certa dimensione, aveva il cosiddetto "consiglio dei delegati": l'aggiunta "di fabbrica" non veniva fatta, in un sussulto di serietà. In fin dei conti, più della metà dei delegati era laureata, e gli altri erano comunque diplomati...
Ero già riuscito ad evitare di farmici infilare, con la scusa che ero impegnato nella CAMLC: ma quando nel 1997 la legge istituì al loro posto le Rappresentanze Sindacali Unitarie, RSU per gli amici, e ci furono le prime elezioni, commisi l'errore di cedere alle richieste di Antonio Bonomo della FISTel/CISL e mi misi in lista, "per recuperare voti nella sede di via Nole". Gli dissi solo che non intendevo prendere la tessera, e che se non fossi risultato eletto non volevo assolutamente essere ripescato - c'era infatti tre posti designati, in pratica uno per ciascun sindacato della Triplice.
Avevo fatto i miei conti: la CISL, storicamente minoritaria rispetto alla CGIL, si sarebbe presa due seggi su nove e io sarei arrivato terzo. Peccato che i conti fossero sbagliati: la CISL prese tre seggi più il designato, e comunque arrivai secondo nonostante la mia campagna elettorale "negativa" ("vota la lista, non me!") verso i pochi che mi chiedevano lumi. A questo punto, per rispetto verso i 79 tapini che mi avevano votato, ho detto "occhei, proviamo", e ci sono rimasto impegolato per quattro anni.
Nonostante tutto, devo ammettere che l'esperienza mi è stata davvero utile. Ho imparato infatto molte cose, dalla capacità di tradurre dal sindacalese alla decodifica del teatrino che si fa sempre nelle relazioni azienda-sindacato... ma andiamo con ordine.
I comunicati sindacali che trovavo in Cselt, ma credo che non fossimo certo gli unici, utilizzavano un lessico non troppo diverso dai volantini BR. Non per gli argomenti trattati - ci mancherebbe altro! ma per la sintassi che nemmeno Machiavelli, e per le parole che si trovano solo nelle edizioni maggiori dei vocabolari. Era forse più facile capire di chi era la redazione iniziale: bastava cercare le parole chiave all'interno del testo per scoprire la sigla sindacale.
Devo però dire che la situazione negli anni è migliorata. Sarà stato l'innesto di "giovani" leve nelle RSU - se dei trentacinquenni si possono considerare ancora giovani... - o forse la necessità di farsi capire dalla gente, ma i comunicati sindacali Cselt sono diventati molto pìù chiari, anche a detta dei colleghi. Penso che in parte sia stato anche merito mio: questa semplificazione sarebbe capitata lo stesso, intendiamoci, ma forse un po' più lentamente.
Non che l'arte di scrivere un comunicato sindacale sia banale: il termine "mediazione" assume qui un'importanza estrema. La storia comincia generalmente con un tapino che si assume il compito di preparare la bozza del documento. Il "volontario" lo si fa in genere in rotazione, a meno di trovarsi in un periodo di iperlavoro. La prima passata serve in genere a correggere gli errori fattuali e aggiungere eventuali punti tralasciati, e fin qui tutto bene. Ma ci sono anche le questioni più strettamente politiche: i concetti si possono esprimere in modo diverso, a seconda della visione degli interessati, e vi assicuro che non è affatto facile riuscire a trovare un testo che risulti un compromesso accettabile da tutti.
Dopo avere parlato delle faide intestine del sindacato, è ora di passare alle vere "lotte di classe", quelle cioè contro l'azienda. Purtroppo, o meglio per fortuna, la situazione in Cselt non era mai stata troppo conflittuale, anche se il passaggio a Telecom Italia Lab aveva portato a un netto peggioramento poco prima che me ne andassi.
Molti dei punti classici di tensione, come i rinnovi di contratto, erano infatti stemperati dal nostro essere legati a doppio filo a Telecom: i soldi che davano a loro erano quelli che ci prendevamo anche noi, non c'erano santi. Al limite si poteva tentare di avere una quota di salario in più marchiata Cselt, ma era comunque una cosa secondaria. Cosa restava, insomma? fondamentalmente, l'organizzazione generale del lavoro e in seguito il premio di produttività, o risultato, o qualunque fosse la parola d'ordine del periodo. Nei periodi di calma c'erano poi le questioni sull'ambiente, come riciclaggio e simili, che non facevano testo perché l'azienda di solito accettava di buon grado le nostre proposte che facevano comodo alla propria immagine verso il mondo.
Quando ci lavoravo, Cselt era un'isola felice: anche se l'azienda ha sempre tentato di allungare la fascia oraria di compresenza, la flessibilità dell'orario era ampia, e la gente aveva la possibilità di prendere permessi anche per un singolo minuto, se le serviva. Dato che non avevamo sportelli al pubblico, che molti di noi timbravano solo la presenza, e che il nostro lavoro era effettivamente senza scadenze giornaliere, la cosa aveva senso: e credo che sia la RSU che l'azienda lo sapesse.
Ma il teatrino delle relazioni azienda-sindacato domandava un rituale standard, con la piattaforma sindacale esagerata, il capo del personale che - con il suo leeeento eloquio - diceva che chiedevamo troppo e offriva un terzo, una aliquota di scioperi a scarsa partecipazione e il compromesso finale. Il massimo penso si sia raggiunto con il premio di produttività: come misuri la produttività di un centro di ricerca? Alla fine si erano stabiliti una serie di parametri formali, tarati con tutta una serie di pesi relativi per calcolare le percentuali del premio... il tutto in maniera puramente formale, perché i valori avrebbero sempre toccato il massimo, salvo cataclismi.
Io negli anni ho compreso un po' le ragioni del "teatrino": dovevamo fare vedere che facevamo le cose sul serio. Altre cose però non mi sono mai andate giù, come la storia degli scioperi. Noi non eravamo metalmeccanici: se scioperavamo mezza giornata, non solo non si bloccava la produzione, ma spesso ci si fermava di più la sera per recuperare il tempo perduto. Insomma, il danno e la beffa. Non eravamo nemmeno così tanti da poter fare manifestazioni folkloristiche, tipo i cortei su e giù per il centro di Torino.
Quello che ho sempre contestato - rimanendo in minoranza - nei rari casi di escalation delle azioni sindacali è stata la mancanza di coraggio nel cercare nuove forme di... "lotta" è una parola grossa, diciamo manifestazione del nostro dissenso. Lo sciopero bianco con devoluzione dell'equivalente della giornata lavorativa a una qualche causa poteva essere un'idea; l'uscita di tutti alle 16:30 come da lettera del contratto secondo me sarebbe risultata dirompente. Purtroppo le mie sono rimaste concezioni idealista, e cassate "perché non si fa così".
E qui si arriva a quello che a mio parere è il vero compito del sindacalista: essere in mezzo ai lavoratori, sentire cosa vogliono davvero, sia esso o no in contrasto con quanto vorrebbe l'azienda, e allo stesso tempo dare loro la possibilità di leggere la situazione a un livello più alto, sfruttando il proprio accesso a una quantità maggiore di dati.
Le assemblee sono chiaramente indispensabili, ma è troppo facile manipolarle a piacere, e sono quasi sempre incontri a senso unico. Già meglio si va con gli incontri di approfondimento con i gruppetti di aficionados, dove si può parlare in modo più terra terra e la gente è più portata ad intervenire: resta però il guaio che ti trovi con gente che la pensa abbastanza come te, e quindi non hai una visione davvero globale.
Il vero lavoro lo si fa con la "democrazia da caffè": ti incontri casualmente con qualcuno alla macchinetta e questo, visto che ha trovato "uno delle RSU", ne approfitta per chiederti informazioni di prima mano, anche se non sei "della sua parrocchia". Allora non devi soltanto spiegare le cose cercando di calarle nell'esperienza pratica del tuo interlocutore, ma devi soprattutto ascoltare i suoi commenti, che rispecchiano un punto di vista diverso da tuo ma magari maggioritario tra i lavoratori. E scopo primario di un sindacalista è operare a favore dei suoi colleghi, non essere il più votato.
Il migliore complimento che ho ricevuto per il mio lavoro credo sia stato quello del collega che mi disse "Tu non puoi fare il sindacalista: dici le cose come stanno, invece che scagliarti contro l'azienda e promettere chissà cosa". Ritengo che sia questo il vero ruolo del sindacato: politica come servizio, evitando promesse che si sa già non si potranno mantenere e dedicandosi alle cose pratiche. Mi sono ad esempio occupato ampiamente della nascita del fondo integrativo per i telefonici per capire se e quanto valesse la pena aderirci, anche se non mi sono candidato nella commissioni di controllo: mi era bastata un'elezione, e poi lì in mezzo non avrei potuto fare nulla.
Penso abbiate capito che ritengo la mia esperienza utile, e la consiglio a tutti, piuttosto che fermarsi al solito tran tran e lamentarsi perché nessuno fa mai nulla. Ho scoperto che anche se si è come me negati al lavoro da sindacalista, si può dare ugualmente una mano ai colleghi, e si imparano tante cose utili nella vita di tutti i giorni... o magari sono io che non ero capace di vederle prima?
Scrissi la parte qui sopra il 17 agosto 2001. Dopo quattro anni e mezzo, le cose sono un po' cambiate. Senza mai spostarmi dalla scrivania, sono passato da Saritel a IT Telecom, a Tim, a Tim Italia, e adesso sembra che verremo fusi in Telecom Italia. Purtroppo sembra che sia l'andazzo comune, e in fin dei conti ci va ancora bene che rimaniamo in società abbastanza grandi.
Il guaio è che siamo completamente dimenticati dall'azienda; tanto per dire, sono addirittura convinti che la nostra sede fisica sia a Milano e non a Rozzano. Così ho pensato bene che - visto che tanto qui non ci fila nessuno - fosse meglio rimboccarsi di nuovo le maniche. Ho scritto una simpatica lettera, rimasta ahimé senza risposta, al capo di Relazioni Industriali di Tim Italia, ho preso per la prima volta in vita mia la tessera sindacale - sempre FISTel - e... mi sono candidato per le RSU.
Il conto era più o meno quello dell'altra volta: gli aventi diritto al voto a Milano erano 1100, la mia sede ha meno di trenta dipendenti, e fuori di là non mi conosce nessuno. Stavolta è andata bene, ma per un soffio. Infatti ho preso 16 voti, compreso qualcuno di iscritti alla SLC-CGIL :-), e se non ci fosse stato un calo inaspettato di voti complessivi per la FISTel sarei passato. Invece abbiamo ottenuto solamente 1+1 delegato, e io sono secondo a pari merito. Anche immaginando che Alessandro Cerioli (il primo in lista, che è però distaccato in sindacato) lasciasse il posto, lascerò passare una candidata del Customer Care per avere una rappresentanza anche di quel gruppo. Certo che se mi fossi votato avrei fatto più fatica a far passare questa idea...
Resta comunque intatto il mio impegno per fare vedere che esistiamo anche noi; non solo verso l'azienda ma anche verso il sindacato.
23 gennaio 2006